Senza dubbio l’iniziativa che l'Istituto di Studi Albanesi della Università di Roma ha promosso per una sistematica raccolta, con relativa pubblicazione, delle tradizioni popolari italo-albanesi, è destinata a raggiungere una delle più alte cime che siano state toccate finora dagli studi demologici nel nostro Paese. E ciò per due principali ragioni.
La prima è che tali tradizioni presentano un interesse eccezionale sia dal piatto di vista glottologico che da quello etnografico, in quanto ci offrono il modo di analizzare e documentare i complessi problemi che presenta il trasferimento (e relativa ambientazione') di un importante gruppo etnico dal suo centro d’origine in un'area diversa per lingua, costume, struttura sociale ecc. Ci è dato così controllare la validità delle norme areali linguistiche, applicate anche al folklore, e relative alla conservazione, o alla particolare modificazione di fatti linguistici e di usanze, credenze, tradizioni. Analoghe esperienze sono state compiute, ad es., per lo studio dei romances conservati da gruppi etnici spagnoli emigrati nel continente nero, con risultati scientifici di grande importanza per poter riconoscere la loro forma arcaica, come han dimostrato gli studi del più grande filologo romanzo vivente, Ramon Menéndez Pidal. Qualcosa di simile si otterrà^ anche con la presente ricerca. La seconda ragione, poi, è questa: che, nelle diverse aree demologiche italiane ben raramente è stato raccolto un corpus delle tradizioni popolari con una metodologia così aggiornata e scrupolosa come quella che ora viene applicata dall’Istituto di Studi Albanesi attraverso i suoi ricercatori.