Sportello Linguistico e di Accoglienza

In conformità all’ Art. 3.2 della Convenzione tra la Città di Chieri e l’Associazione “Vatra Arbëreshe” nell’ambito delle politiche socio-educative e culturali della Città di Chieri, per i motivi di comunanza culturale e linguistica, l’Associazione “Vatra Arbëreshe” è ritenuta punto di riferimento ed integrazione per la presenza degli albanesi di recente immigrazione.

Pertanto,così come previsto dallo Statuto della stessa associazione, che all’ Art. 3.5 recita:
“…tutelare gli interessi generali degli immigrati arbëreshë e albanesi, favorendone l’inserimento sociale e promuovere attività assistenziali. Questo comporta l’esclusivo perseguimento delle finalità sociali, da realizzarsi attraverso attività di assistenza socio-sanitaria, di beneficenza, di istruzione e formazione a favore delle predette situazioni, in collaborazione con gli organi istituzionali preposti…” in ottemperanza alla sopraccitata Convenzione, l’Associazione “Vatra Arbëreshe”, presso i locali dell'Associazione, terrà in funzione lo “Sportello linguistico e di Accoglienza” con apertura al pubblico tutti i venerdì dalle ore 21.00 alle 23,00 con possibilità di ampliare i giorni e l’orario secondo le esigenze che si presenteranno, in stretta collaborazione con Consorzio Servizi Socio-Assistenziali del Chierese.

Servizi offerti:
· Informazione su corsi di formazione e inserimento al lavoro.
· Informazioni e organizzazione di corsi di lingua italiana per cittadini stranieri.
· Informazione sulla legislazione regionale e nazionale in materia di immigrazione e sui servizi pubblici a favore degli immigrati.
· Organizzazione di incontri e conferenze sui problemi dell’immigrazione e segnalazione alle Istituzioni preposte dei bisogni essenziali in campo scolastico-linguistico, sanitario, abitativo.
· Inoltre, allo scopo di conservare il valore dell’identità della terra di origine, si proporranno iniziative e attività culturali, anche attraverso corsi di lingua madre e di cultura di origine, finalizzati a rinsaldare i rapporti culturali tra le varie comunità presenti sul nostro territorio.

 

 

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Arvareshu - il protosardo illirico

IL protosardo illirico viene definito arvareshu, lingua sarda prelatina o lingua shardana di origine pelasgica (popoli del mare) parlata in Sardegna dall'epoca nuragica fino al periodo imperiale bizantino in base a quanto attestato dallo storico bizantino Stefano di Bisanzio. Oggi è estinta. Questa lingua, seppur codificata, oggi è citata solo per alcune perifrasi, se ne conservano comunque innumerevoli parole nella lingua sarda parlata, soprattutto in Barbagia, cosa che porta ad affermare che la latinizzazione del sardo non è stata pienamente completata.
E' esemplificativa la lingua dei centri del Monte Santo (Sardegna Orientale - Golfo di Dorgali) dove per un unico significato si usa spesso il termine latino e quello prelatino. Gli "arvaresos" sono gli odierni barbaricini in Sardegna. I romani chiamavano i barbaricini ilienses che etimologicamente hanno la stessa radice semantica degli illiri. I predecessori dei barbaricini e dei sardi sono i nuragici o shardana.

 

PREMESSA E RINGRAZIAMENTI DALLO STAFF DI VATRA ARBËRESHE

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il lavoro di ricerca effettuato dal Dr. Salvatore Bovore Mele su "Il proto sardo illirico" che viene definito "arvareshu".
Oltre all'importanza della ricerca, peraltro affrontata anche da altri studiosi, si apprezza la passione e la competenza con cui è stato affrontato l'argomento.
La presente Associazione si adopererà per la comune causa culturale che ci viene proposta e ringraziamo il Dr. Salvatore Bovore Mele per il prezioso contributo offertoci, ricordando a chiunque volesse collaborare, inviando articoli e opinioni culturali , che il sito dell'Associazione sta diventando sempre più interattivo, perciò aperto al dialogo diretto con l'interlocutore.
Vogliamo inoltre ricordare al Dr. Mele che oltre la comunanza linguistica, fra arbereshe e sardi abbiamo anche un grande personaggio storico in comune: Antonio Gramsci.

Grazie ancora e aspettiamo altri contributi che verranno volentieri pubblicati.
Lo Staff di Vatra Arbëreshe

 

BIOGRAFIA DI SALVATORE BOVORE MELE

Salvatore Bovore Mele è nato nel 1965 a Dorgali, paese sulla costa orientale della Sardegna, appartenente alla regione centrale della Sardegna chiamata Barbagia. Da bambino ha vissuto in Germania. Vive in inverno sulla costa a Dorgali e in estate nella antica capitale della Sardegna centrale chiamata Ollollai. Lui è un agronomo e forestale. Si è laureato a Firenze nel 1991. Si tratta di un nativo della Sardegna. Scrive fluentemente in lingua sarda. Parla molte lingue europee. Opera dal 1991 nell'ufficio tecnico regionale forestale di Lanusei ex A.F.D.R.S. oggi Ente Foreste della Sardegna. Ha provveduto ad organizzare l'ufficio tecnico regionale forestale Ogliastra nella città di Lanusei, costa orientale della Sardegna, che gestisce da dieci anni e che ha un organico di 1500 unità. E 'stato direttore dell'ambiente della centrale provincia di Nuoro in Sardegna. È stato a capo della pianificazione urbana e ambientale nella provincia di Nuoro ed è stato responsabile della pianificazione urbana del paese di Dorgali. E 'stato assessore ai Lavori Pubblici del comprensorio montano della Barbagia. Nel suo paese ha fondato la polizia locale chiamata "barratzellos". Ha scritto un libro sulla storia medievale della città di Dorgali. Di etnia sarda è un sostenitore dell'autonomia regionale sarda ed è un promotore dell'insegnamento della lingua sarda nella scuola pubblica nella variante usata per la scrittura che è stata approvata dalla Regione Autonoma della Sardegna e che viene chiamata Limba Sarda Comune (L.S.C.). Occorre precisare che il sardo odierno è stato influenzato più dalle parlate iberiche, catalano e castigliano, che non dall'italiano, infatti la Spagna è stata presente culturalmente per cinque secoli in Sardegna, mentre l'Italia è presente da 150 anni. Egli condivide per la civiltà nuragica e la lingua l'origine illirica dai Balcani e dal mare Egeo. Per Salvatore Bovore Mele la civiltà nuragica è l'antica cultura della Sardegna che, dopo l'estinzione degli Etruschi divenne il popolo di Sardegna che è l'unico erede con gli albanesi dei popoli del mare.

 

Ritornando alla lingua...
E' esemplificativa la lingua dei centri del Monte Santo (Sardegna Orientale - Golfo di Dorgali) dove per un unico significato si usa spesso il termine latino e quello prelatino. Gli "arvaresos" sono gli odierni barbaricini in Sardegna. I romani chiamavano i barbaricini ilienses che etimologicamente hanno la stessa radice semantica degli illiri. I predecessori dei barbaricini e dei sardi sono i nuragici o shardana.
Questa lingua si è estinta in ultimo in Barbagia (Arvarè o Arvaria in arvareshu) nella zona interna della Sardegna (Shardinna in arvareshu). Il protosardo illirico apparteneva alla famiglia linguistica tirrenica alla quale si ascriveva anche l’etrusco e il pelasgico o greco antico predorico o greco arcaico che oggi molto più semplicemente viene ascritta alla famiglia illirica. Le uniche lingue moderne parlate che possono essere ascritte oggi a questa famiglia sono l’albanese e l'arvanita. Il termine "arvareshu" prende il nome da "Arvarè" il termine medioevale usato per definire la Barbagia e l'Arborea. Questa lingua era presente fino all'alto medioevo. È una lingua che persiste con molte parole nel sardo dell'interno frammista alla struttura latina ma non per questo meno organizzata, la sua origine è chiaramente neoillirica. Se si togliessero le parole latine dal sardo quelle che rimangono sono per l'80% illiriche e oggi le ritroviamo ancora nel tosco e nel ghego, ma soprattutto in quest'ultimo. Il progenitore del protosardo e del sardo, in parte, è in comune con l'albanese. Il sardo si latinizzò definitivamente con la chiesa latina dopo la fine traumatica della chiesa autocefala greca sarda "Cresia Arrega Sarda", fondata da San Lucifero Vescovo di Cagliari, e del suo clero avvenuta nel 1054 (Scisma d'Oriente). Non si tratta comunque dell'ipotesi linguistica della grande Albanìa, ma della probabile origine indoeuropea balcanico-egeica e anatolica dei protosardi o degli shardana almeno per via degli innumerevoli termini parlati usati dai barbaricini del Centro Sardegna che essi hanno in comune con gli schipetari dell'Albania e gli arvanites di Grecia. I costumi sardi dipendono dall'area balcano egeica anatolica, i costumi dei frigi avevano lo stesso copricapo dei sardi e degli antichi illiri e dei lidi, lo stesso gonnellino dei sardi è proprio degli albanesi e degli arvaniti. Il canto a tenore sardo ha una grande somiglianza con il Kenge Labe albanese.
La chiave di lettura del protosardo è verosimilmente dato dalla famiglia di lingue balcano-egeiche e anatoliche dette tirseniche (o tirreniche), derivata dal nome Tyrrhenoi. Si tratta di una classificazione di lingue proposta dal linguista Helmut Rix (1998). Le lingue tirseniche comprenderebbero la lingua etrusca, la retica, insieme alla lemnia, che Rix identificò in stretta relazione avendo evidenziato un certo numero di parole imparentate. In questa famiglia, che è molto probabile sia propriamente di tipo illirica, rientrerebbe anche il protosardo, quello dell'ipotesi balcanico-egeica. Bibl.: Dieter H. Steinbauer, Neues Handbuch des Etruskischen, St. Katharinen 1999; Helmut Rix, Rätisch und Etruskisch, Innsbruck 1998; L.R.Palmer, Mycenaeans and Minoans, Second ed. New York: Alfred A. Knopf. 1965. Il piccolo vocabolario sotto riportato indica solo una piccola parte degli innumerevoli termini in comune. Solo a titolo esemplificativo si riportano i seguenti prefissi in arvareshu corsivo preceduti dal moderno albanese e seguiti dall’italiano: In corsivo il proto sardo (la c si legge sempre duro come in chiesa, gj si legge gh come ghiro, xh è la z sonora, x suona tz, j e zh si legge j alla francese, sh si legge come in sci, s si legge sonora, c con la cediglia si legge come in cece in italiano, dh si legge th inglese in rather, d è sempre cacuminale palatale, la h fa diventare velare la consonante che la precede, le geminazioni nj e rz si leggono nz e rz con la r pronunciata all'albanese, il maschile è in genere in u e il femminile in a, plurale rispettivamente uru e ara che si leggono ùshu e àsha):
• Barras – barrasha – equo, uguale.
• Bashka – bashca – assieme.
• Kaloj – cola – passa.
• Kekj – cece, cecinu – cattivo.
• Kokje – cocu, cocinu – rosso.
• Lutem: ju lutem – lushcapo - prego.
• Ma – manne, mannu – più. Il I avverbio il secondo aggettivo.
• Madh – medha – grande. Indeclinabile al singolare.
• Mbare – imbare – bene. Avverbio.
• Mbare – imbaru – buono. Aggettivo.
• Mendim – miduine – pensiero.
• Mire – mira a – buono, bene. Avverbio.
• Mire – mira – buono, bene. Aggettivo.
• Fala me nderes: falaminderit – fallegamindra o fallega e ondra – Grazie. Indra significa onore.
• Pa – ba – senza.
• Paper – papara – poco.
• Papu – papu – inutile.
• Papu – papu o pape – inutile. Il I aggettivo, il II avverbio.
• Para – para – avanti.
• Pari – parishi – appaiati.
• Pas– papasha, papashcuasha – dietro.
• Plot – busu – pieno.
• Prapa – papasha – dietro.
• Prapanice – perpere – basso.
• Ri – arre – di nuovo.
• Rreti – reti – attorno, a cerchio.
• Rrjedh - riedu – scorrere.
• Ruga – rucha – strada
• Tej – adei – oltre.
• Shume – e isumesia – molto.
• Siper – tipe – sopra.
• Sulem – shulonju – scagliare.
• Sy – seiu – occhio.
• e - è - di.
Si riportano alcuni esempi di parole illiriche, usate ancora in Barbagia, Centro Sardegna, si riporta prima la parola albanese poi quella barbaricina e tra parentesi la parola in italiano:
lumi - lumina (sponda del fiume), leja - leia (permesso), dore - dola (mano), kekj - cecinu (cattivo), mistri - mishtra (calce), barde - bardule (calce), gure - gurdu (di pietra), gat - gata (fritella), gush - gusorju (legacci), gropa - gorropu (fosso), kamba - camba (gamba), kama - cama (piede), kokor - cucuru (testa), papescues - papascuash (retrovisore), djelle - udulu (ginepro), druri - druri (legno), deti - dadhanu (marino), luga - locharzu (cucchiaio), piru - piru (forchetta), koke - conca (testa), kuke - cucu (rosso), val - vala e mare (onda), anae - anae (nave), pej - pei (di materia p.es. pej kuku), ishil - ishiolu (verde), tzakor - xacora (scure), kelesh - careta (cuffia), zëri - xirri (voce), ther - tirrionju (scannare), shurra - shurra (orina), arga - argashile (amanuense), mut - moxoro (caca), kurmi - carena (corpo), male - malesha (monte), hane - hintula (luna), pi-u - piseta (pene), seller - sellere (sedano), ndër - interi (tra), madh - è medha (grande), dras - trastanja (tavola), leper - lepere (coniglio), jagar - jarachu (levriero), flok - froceddu (ciuffo), flaka - fraca (fiamma), brage - vracha (braghe), mac - macitu (gatto), ruge - rucha (strada), bora - borea (nuvola di neve), gjirja - gjiria (golfo o ansa), ecc.
La pronuncia più arcaica del sardo erede diretta di quella protosarda si registra nei tre centri dell'area del Monte Santo: Dorgali, Urzulei, e Baunei. È presente la c fricativa alla toscana, le velari, la j alla francese, la r pronunciata all'albanese nella geminazione rz (resorza) ecc. La pronuncia e la semantica di Dorgali sono il riferimento per lo standard de "s'arvareshu".
La comune lingua con gli illirici dei sardi antichi e dei barbaricini, sardi delle montagne centrali dell'isola, è testimoniata dai documenti scritti del massimo storico bizantino Stefano di Bisanzio, che maneggiò materiali di varia origine ed epoca, il quale è uno studioso fidato, e riporta: "Sardos, oos Parthos, polis Illyrias, oi politai Sardēnoi" e cioè "Sardos, come Parthos, città dell'Illiria, i suoi cittadini si chiamano Sardenoi" che agli atti è l'etnico più vicino foneticamente a quello dei Shardana. Parthos e la tribù dei Partini era ubicata nella zona centrale dell'Albania, presso Elbasan e lungo il fiume Shkumbin. Si ricorda anche che presso Scutari nell'estremo nord dell'Albania era ubicata la città medioevale di Sharda oggi ubicata nell'isola di Shudrah dopo la costruzione di una grande diga. La tribù illirica di questo territorio si chiamava sardeates e apparteneva all'etnia ghega. Il substrato illirico originario sostiene l’impostazione della lingua e della civiltà della Sardegna come è stato dallo studioso Alberto Areddu nella pubblicazione “Le origini albanesi della civiltà in Sardegna”. L'antica lingua illirica di Sardegna è la premessa del moderno sardo neolatino nazionale moderno che è frutto di un’evoluzione influenzata dal latino, e poi dal catalano e dallo spagnolo. L'ipotesi sardo illirica è sostenuta da più di un autore, nonché da alcuni siti. Ma la voce più autorevole è quella di Erodoto Ηρόδοτος che nel Cap. I paragrafo 94 della sua opera principale Historiae Ιστορίαι parla dell'emigrazione dei Tirreni, popolo tracio e frigio, quindi di estrazione balcanica e anatolica, in Sardegna - dove diedero origine agli shardana nuragici e in Toscana dove diedero origine agli etruschi - quest'ultima è tra l'altro un'ipotesi accettata da quasi tutti gli storici.
Questo antico flusso migratorio indoeuropeo verso la Sardegna si concluse con l'inizio del primo millennio avanti Cristo e potrebbe essere avvenuto, non solo via mare, ma anche sostanzialmente via terra dopo l'attraversamento dell'Adriatico superando la penisiola italica (con il passaggio dalla Romagna alla Toscana) e poi con il popolamento dell'Etruria, della Corsica e della Sardegna. Confermano quest'antica origine balcano-egeica e anatolica dei sardi anche vari studi genetici che li mettono in relazione con le odierne popolazioni dell'area illirica ghega (Montenegro Bosnia e Nord Albania) e con le antiche popolazioni predoriche dell'area peninsulare ellenica: micenei, minoici e pelasgi. In ultima istanza gli albanesi, i sardi e gli etruschi posseggono comune origine anatolica. Nella voce Oliena, si afferma "Il paese, sembra essere nato dall'unione di tribù minori, che si sarebbero poi unite ad un preesistente villaggio, più sviluppato rispetto agli altri, e che quindi offriva più sicurezza contro gli invasori, ormai penetrati in Barbagia. Gli antichi antenati di questi popoli, sarebbero stati gli Iliensi, uomini di mare, fuggiti da Troia in fiamme". Infatti l'altro nome di Troia per i latini era "Ilium". E infatti i romani chiamavano i barbaricini ilienses. Sarà una leggenda ma anche la storia della distruzione di Troia per mano degli achei, i dorici (neogreci), sembrava una leggenda omerica. Secondo leggende locali sempre genti provenienti dall'area egeica avrebbero fondato Osidda e Olbia. Certe espressioni locali degli anziani "e vrecos" (Vecchi), in Barbagia, sostengono : «Aveddos, purros, pupurros, avuzos, argazas, vennios papascuas, po leia, a trupe, stasios e trasidhu, a istrussiu e rebedia zizi chechina, bussiaos e vertera frica, pelau pelau, dadanu dadanu, lumina lumina, chen'isperu, inter'i malesas 'atesas e s'isula iscretia e Sardinna'». (traduzione: Fratelli, uomini, bambini, giovani, donne, venuti di nascosto, o chiedendo il permesso ai locali, o contro la loro volontà, stanchi dei disordini, mossi dalle cattive e più nere disgrazie, pieni di vera paura, dopo aver attraversato l'oceano, il mare, i fiumi, senza speranza, fino a stabilirsi nelle lontane montagne dell'isola spopolata di Sardegna). C'è una sola lingua in Europa che ha che fare con queste espressioni tipicamente barbaricine, ma non è il basco, è l'albanese e l'arvanita
I centri confinanti di Dorgali, Urzulei, e Baunei, sovrastati dal massiccio calcareo del Montesanto (Golfo di Orosei), per via dell'isolamento geografico, hanno avuto un fenomeno di conservazione linguistica simile a quello dell'isola di Eubea (Grecia) culla degli arvanites.
Di seguito è riportato il Padre Nostro in idioma "arvareshu". (“Babbu Nostru” inde sha goia arvaresha o barbaricino)
Babai Xhanu
Babai Xhanu cie ja-sher inde shu celu
ja-shiadh shantau shu lumene è tene
ja-shiadh anca vinnie shu mereu è tene
ja-shiadh bautia sha urdha è tène
Emmo inde shu celu emmo inde sha toca
A nuru tui thommiri gjitianu a sha beca xhana
A nuru tui indergjere a shara deitorara xhanara
Si nuru indergjimuru a shuru deitoriri xhanuru
Tui a nuru momos tommir a shara mashcadhara
Ama tui liriar a nuru inca cecinu
Amen Xheshu.
Si pronunciano le vocali paragogiche, il dittongo finale di parola nj si pronuncia nzu, la j può essere letta z come a Lodine, si fanno le liaisons come nel sardo moderno. (Padre nostro in sardo che non è esattamente la traduzione del precedente: Babu Nostru, Babu nostru chi istas in sos chelos, Santificadu siat su numen tuo, Benzat a nois su rennu tuo, Fata siat sa voluntade tua, Coment in su chelu gai in sa terra, Su pane nostru de onzi die dae nos oe, E perdona nos sos pecados nostros, E non nos dasses ruer in sa tentazione, Ma liberanos dae male. Amen).
Ave Maria: Ave Mari inde sha goia arvaresha (Ave Maria in lingua arvaresa):
Ave Mari imbusa è careshti
Shu Tommeu eshte me teche
Ja-sher shantaa interi shara femerara
shantaa sha pumora è sha branza è tene: Xhesu.
Shanta Mari nenna è Dia
Rexa po nuru mashcadheriri
Tashi eshte sha sara è xhana gatia.
Amen Xheshu.
In lingua arvaresha l'inno al sole shardana, nuragico e illirico. (tra parentesi la pronuncia):
Dillu cadhe inde shu chelu
ondramuru (pr. ondramushu) sha phandela è tè!
diamuru (pr. diamushu) a shu mereu è tè,
diamuru (pr. diamushu) a sha mannia è tè.
Emmo inde pelau emmo inde toca
dillu cadhe inde shu chelu
ondramuru (pr. ondramushu) sha phandela è tè!
A nuru (nushu) tui thommiri (pr. tomishi) gjitianu a shu ishperonju xhanu.
dillu cadhe inde shu chelu.
ondramuru (pr. ondramushu) sha phandela e tè!
Pronuncia:
dillu cadhe inde shu chelu
ondramush sha phandela e tè!
diamush shu mereu e tè,
diamush sha mannia e tè.
emmo inde pelau emmo inde toca
dillu cadhe inde shu chelu
ondramush sha phandela e tè!
a nush tui thommish gjitianu a shu ishperonju janu.
dillu cadhe inde shu chelu
ondramush sha phandela e tè!
(La ph in arvareshu è una p velare).

(E' musicato con le note dell'"hymni kombetar i flamurit")
Adhibishapo - Credo Cattolico:
Adhibishapo inde unu pexiparu Dia,
Babai gjitepostemandu criadhore e shu chelu peri e sha toca,
peri e gjitara shendara cie sis seiane peri uncu sis seiane.
Adhibishapo inde uniparu Tommeu,
unibatiu vixhu e Dia,
pariu e Babai para e gijtara seculara,
Dia pei Dia,
Luina pei Luina, bautiu,
uncu criau, pei pexia shushtasia e Babai,
po meshu e Idu gjitara shendara ja-shene shtetiara criaara,
po nuru purruru,
meme po xhanu orruonju eshte pichau anca shu chelu,
meme po opora e shu shpiridhu shantu eshte impexau inde sha branxa e sha Virgjina Mari
peri si eshte bautiu purru.
Aidu iaividhi circau inde shu poshitu e Ponxiu Pilau,
Aidu vatividhi peri vidhi vorrau.
Shu e tere didiri eshte bavatiau, sicunde shara shcritiara,
eshte acicau anca e shu chelu,
shi aperperinadhe inde sha dadha e shu Babai.
Peri e arre cadhe anca vinnie inde shu lumene po gjiuciae a shuru cie niallane,
meme a shuru vatiauru meme shu meriu su uncu cadhe a cae fundunu.
Babai peri Vixhu eshte adheriu meme lumenau, peri Idu cadhe fallegau po meshu e shuru profetara.
Adhibishapo sha cezha, una, shanta, catolica, apostulica,
pretendapo unu pexiparu batiu po shu indiosonju e shara mascadhara,
capo opes inde shu bavatinju e shuru vatiuru,
meme inde a sha nialla e sha durria cie cadhe a vinnie
Aici shiedhe.

Fonti:
Convegno Internazionale di Tirana sui Pelasgici:

1. ^ SIMPOZIUMI I II-te, NDËRKOMBËTAR MBI PELLAZGËT - TIRANA -  Nga studiuesi italian nga Sardenja Dr. B. Mele, është ndërtuar fjalori i parë i gjuhës së lashtë sarde-shqip-anglisht. Autori vërteton se gjuha e sardëve të lashtë është gjuha pellazge/ilire/shqipe, që përbën një arritje mjaft të rëndësishme të gjuhësisë bashkëkohore. Ndërtimi i këtij fjalorin të parë sardo-shqip-anglisht, përfaqëson një punë kolosale të autorit me rëndësi të madhe historike dhe gjuhësore. Më parë profesori nga Sardenja A. Aredu ka zbuluar se qytetërimi lashtë i Sardenjës është me origjinë pellazgo-ilire. Kështu të dy studiuesit përputhen plotësisht, që sardët e lashtë ose banorët më të hershëm të ishullit të Sardenjës, kanë folur gjuhën pellazge/shqipe.
Studi genetici:
2. ^ Ongoing research by William Hartley, Co-Administrator of the Haplo-I1 and Hartley DNA Projects. Between the ancient european population in the South of Europe, protoeuropeans, at Bosnia and Herzegovina, Croatia and Sardinia is common the Haplogroup I2. Haplogroup I arose in Europe, and is almost non-existent outside of Europe. It originated around 24,000BP, at the start of the Last Great Ice Age, and is indigenous Native European DNA; Native Europeans were independent of Africa over many hundreds of thousands of years, bred with co-native cousins 'Homo Neanderthalensis', and have distinct traits such as light hair and eye colour, and is common between Sardinia and North Albania.
Bibliografia:
• Alberto Areddu - Le origini albanesi della civiltà in Sardegna - Autorinediti.
• Angelo Leotti – L’Albanese Parlato (Ghego) – Cenni Grammaticali e Vocabolario – Hoepli – Milano, 1916.
• Paola Guerra e Alberto Spagnoli – Albanese Compatto – Zanichelli.
• Stephani Byzantii - "Ethnicorum quae supersunt" - Ed. Meineke I, 556.
• Dieter H. Steinbauer, Neues Handbuch des Etruskischen, St. Katharinen 1999; Helmut Rix, Rätisch und Etruskisch, Innsbruck 1998; L.R.Palmer, Mycenaeans and Minoans, Second ed. New York: Alfred A. Knopf. 1965
• Atlante Storico Mondiale De Agostini (Edizione del 1994), pg.61

 

La Lingua Arbëreshe

Un elemento che caratterizza e distingue le comunità arbëreshe è la lingua.
La lingua arbëresh si tramanda oralmente da padre in figlio,con le caratteristiche del tosco o del ghego, a seconda della provenienza geografica dall'Albania.
Purtroppo ultimamente accade che quanto più viene utilizzato l’italiano,tanto più regredisce la conoscenza della propria lingua e di conseguenza ne risente la propria identità.(La nostra associazione pone come obbiettivo anche quello della salvaguardia della lingua).

La tradizione orale è uno dei tratti più caratterizzanti gli arbëreshe in Italia.La conservazione dei costumi e della cultura popolare arbëreshe è avvenuta, e avviene, quasi esclusivamente attraverso fiabe, leggende, canti popolari e religiosi, proverbi.(Anche se ultimamente si stanno facendo dei passi in avanti per una codificazione della lingua arbëreshe e esistono vari testi per impararlo)

La poesia e la novellistica popolare e religiosa hanno rappresentato nel passato il canale espressivo più immediato e spontaneo dei valori che stanno alla base della cultura arbëreshe. E la nascita di una tradizione letteraria scritta arbëreshe poggia le sue basi sulla tradizione orale popolare e religiosa.

La letteratura scritta affronta già dalle origini il problema del collegamento con la lingua di tradizione orale. Fino al XVI secolo l'albanese non aveva sviluppato una propria tradizione scritta, che nasce, programmaticamente e consapevolmente, solo nel 1592 con l'opera E mbsuame e Kresthere (traduzione della Dottrina Cristiana del gesuita Ladesma e prima testimonianza assoluta del tosco meridionale) del siciliano arbëreshe Luca Matranga. Qui, per la prima volta nella storia della lingua albanese, sul modello della lingua popolare vengono poste le basi per la normalizzazione della lingua scritta in tutti i suoi aspetti (fonetico, morfologico, lessicale, sintattico, funzionale, stilistico) e anche dell'unificazione dell'alfabeto e dell'ortografia. L'alfabeto latino del Matranga sarà alla base di tutte le elaborazioni successive fino alla forma attuale dell'alfabeto albanese.

La riflessione sulla lingua e il problema della normalizzazione grafica fu un campo di interesse comune a tutti i successivi autori arbëreshe. Tra gli altri N. Brancati (1675-1741) e N. Keta (1740-1803) si occuparono della normalizzazione del lessico, mentre l’arberesh Girolamo De Rada (1814-1903) tentò con più sistematicità di fornire un quadro teorico e grammaticale per le parlate arbëreshe. Anche altri studiosi, come Demetrio Camarda (1821-1882) e Giuseppe Schirò (1865-1927) si occuparono del rapporto tra parlate arbëreshe e lingua scritta. Per le già ricordate ragioni di intenso e intimo legame tra tradizione orale e lingua scritta, e tra la storia linguistica e letteraria degli albanesi d'Italia e la storia dell'albanese in generale, le riflessioni elaborate in tali sedi ebbero una rilevante importanza anche per la definizione delle norme grafiche dell'albanese attuale.

Tuttavia fu con Mario La Piana (1883-1958) che iniziò tra gli albanesi d'Italia una tradizione di studiosi della lingua e della cultura albanese, dotati di teorie e metodi avanzati.

In seguito, numerosi linguisti, letterati, storici delle tradizioni popolari e antropologi hanno studiato, e studiano, con particolare attenzione il rapporto tra oralità e scrittura arbëreshe. Tuttavia tale rapporto si presenta ora in termini nuovi. Infatti nonostante lo sforzo di tutti gli autori arbëreshe di basarsi sulla tradizione orale, la distanza tra lingua scritta e lingua parlata si è venuta sempre più ampliando. Sebbene vi sia una tendenza da parte dei letterati all'uso scritto di un albanese che conservi caratteristiche dell'arbëresh, per la quasi totalità dei parlanti l'oralità continua ad essere l'unica forma di apprendimento e uso della lingua. La c o m p e t e n z a scritta, attiva e/o passiva, rimane privilegio di una esigua minoranza e si orienta sempre più decisamente verso la lingua letteraria albanese. Se da un lato, quindi, gli scrittori e i letterati portano ai più alti livelli l'arbëresh nella sua forma scritta, dall'altro questa va sempre più perdendo il suo carattere dialettale, mantenuto in vita solamente dalla tradizione orale, a sua volta influenzata dalla diffusione, attraverso la scolarizzazione e i mass-media, della lingua italiana e dei suoi dialetti.(Ed è proprio questo l’intento della nostra associazione cioè quello di mantenere viva e pura l’arbëresh medievale).

Le parlate arbëreshe, conservatesi ed evolutesi per ben cinquecento anni, non hanno avuto contatti diretti e continui tra loro e con le altre parlate della lingua dalle quali si sono distaccate. Esse si presentano come isole linguistiche nel mezzo di una ambiente linguistico romanzo, e hanno subito modificazioni varie sia per l'azione dell'italiano sia dei dialetti circostanti. Per tali ragioni, pur mantenendo nella loro struttura fonetica, morfosintattica e lessicale tratti comuni, le parlate arbëreshe registrano variazioni consistenti.

L'enorme influsso dell'italiano e dei dialetti romanzi ha infatti modificato la struttura della lingua. In morfosintassi ad esempio si assiste alla presenza di costruzioni del futuro con kam + infinito, sul tipo di futuro habeo ad cantare, caratteristico per i dialetti italiani della Puglia, della Sicilia, della Lucania, della Calabria e dell'Abruzzo. Esempi di costruzioni sul modello italiano, dapprima in ambito letterario ma ora attestato anche nelle lingua popolare, sono inoltre le costruzioni del passivo per mezzo del verbo vinj (vengo): vjen thritur.

La forza penetrante dell'italiano si nota anche nella tendenza all'economicità della lingua e alla modifica morfologica di numerose forme. Alcuni effetti di notevole portata sono la tendenza alla limitazione della declinazione, con l'uso frequente dei nomi in nominativo invece dell'accusativo; ancora più visibile, è, in alcuni casi la modifica dell'articolo prepositivo, dove al posto di i, e con dhi (di) italiano.

Ma ciò che caratterizza di più l'arbëresh è il lessico, ed in particolare la mescolanza col vocabolario italiano e dialettale, che si notava già dall'uso di italianismi in Variboba (1724-1788). Infatti vi sono parole che esistono solo nelle parlate arbëreshe e che sono per lo più prestiti dal greco e dall'italiano dialettale. Esse si presentano con un tema albanese e un suffisso italiano. Nel Dizionario degli Albanesi d'Italia di E. Giordano del 1963, si calcola che solo il 45% dei vocaboli arbëresh sarebbero in comune con l'albanese, che i neologismi creati dagli scrittori arbereshe e passati nell'uso popolare sarebbero circa il 15%. La restante parte del lessico proverrebbe dall'italiano, dai dialetti romanzi d'Italia e, in misura minore, da grecismi ed esotismi in genere. Attualmente il progressivo abbandono della secolare economia agricolo-pastorale, il mutamento radicale della trasmissione delle informazioni, la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e la maggiore scolarizzazione stanno (oltre a modificare la competenza linguistica dei parlanti) accentuando tali aspetti. Per cui si assiste, da un lato alla perdita di vocaboli appartenenti a campi semantici legati alla vita economica tradizionale, e dall'altro a una sempre maggiore penetrazione di elementi italiani, più che dialettali, nel sistema linguistico dell'arbëreshe.

 

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